Lettera Aperta 

LAVORARE IN ARCHEOLOGIA:

UN PO’ DI CHIAREZZA VERSO UNA COSCIENZA PROFESSIONALE PIU’ MATURA

Negli ultimi giorni ha fatto molto scalpore sui giornali e sui social network la storia di un collega archeologo che, dopo essere stato intervistato da una giornalista del programma televisivo Rai ‘Agorà Estate’ in cui denunciava condizioni lavorative assolutamente inique, ha perso il lavoro.

L’Associazione Nazionale Archeologi manifesta tutta la dovuta solidarietà nei confronti del collega, sebbene sia doveroso chiarire come lo stesso si fosse rivolto in un primo momento all’ANA (riconosciuta quale istituzione di rappresentanza degli archeologi italiani ai sensi della Legge 4/2013 con riferimento alle Professioni non organizzate in ordini o collegi) salvo poi decidere di non seguire alcuna delle indicazioni che gli erano state fornite e, interrompendo ogni dialogo con i nostri organi, proseguire in altro modo. Il differente percorso scelto, che lo ha portato ad affidarsi ad altra associazione (la quale, specifichiamo, non è un’associazione di categoria normativamente riconosciuta), ha avuto come risultato ciò che è sotto gli occhi di tutti.

La vicenda, sgradevole e assolutamente lesiva della dignità personale del collega, necessita però di un po’ di chiarezza al fine di inquadrare meglio la condizione denunciata e le cattive pratiche esistenti e ancora perpetuate nel lavoro professionale degli archeologi italiani.

Ma andiamo per punti.

  • Le imprese pagano poco

È noto a chi lavora come archeologo in Italia che molta parte delle condizioni economiche inadeguate in cui versano molti colleghi è da imputare a Committenze (non tutte naturalmente) che sottopagano le prestazioni degli archeologi, a fronte dei compensi forniti ad altre realtà professionali.

Questo comporta, senza alcun dubbio, che le imprese che pagano 6 euro l’ora un archeologo sono responsabili della creazione di danni ingenti per tutta la categoria. 

Moralmente, anzi, lo sono ancora di più, perché si affannano in gare a ribassi estremi pur di vincere commesse nelle quali quel ribasso viene scaricato interamente sulle spalle del lavoratore esecutore, con un margine di guadagno per l’impresa stessa.

Il che significa, banalmente, lucrare sulla pelle del lavoratore più debole, condizione in cui spesso viene a trovarsi proprio il professionista archeologo.

  • Gli archeologi professionisti sanno quanto costa il loro lavoro?

Chi sceglie la strada della libera professione in archeologia sa che i liberi professionisti non percepiscono uno stipendio e contrattano autonomamente le proprie tariffe in base alla prestazione richiesta.

Esistono tariffari di riferimento rispetto ai quali orientarsi, che però NON sono obbligatori.

Sebbene non esistano tariffe fisse, sono però presenti norme generiche: prima fra tutte quella sull’Equo Compenso. Segnaliamo quella esistente nella Regione Lazio, ove opera il collega al centro della vicenda suddetta (https://www.consiglio.regione.lazio.it/consiglio-regionale/?vw=leggiregionalidettaglio&id=9351&sv=vigente).

Gli archeologi, al pari di altri liberi professionisti (come architetti, ingegneri o geologi, solo per citare alcune professioni tecniche affini), NON percepiscono “salari” intesi come emolumenti fissi, ma ragionano in termini di fatturato annuo. Ogni professionista è libero di contrattare il costo del proprio servizio al valore che ritiene opportuno.

Detto questo, se è vero che le imprese che offrono 6 euro l’ora sono le prime e le maggiori responsabili dei danni economici che vive la nostra categoria, ugualmente i professionisti archeologi che accettano di lavorare a 6 euro l’ora lo fanno compiendo una loro libera scelta, che però finisce col danneggiare tutta la categoria. Pur essendo noto il contesto in cui queste tariffe sono generate, non esiste alcuna giustificazione per chi accetta di lavorare per simili cifre che ledono la dignità professionale, svilendo e mortificando sé stesso e l’intera categoria, e contribuendo a perpetuare situazioni inique, eticamente, moralmente ed economicamente discutibili.

  • Le Associazioni di Categoria

In un contesto lavorativo non definito in ordini o collegi, un aiuto può provenire sicuramente dalle Associazioni di Categoria riconosciute e normate. A tal proposito ricordiamo che l’ANA, per Statuto e fin dalla sua fondazione, riunisce, rappresenta e tutela tutti gli archeologi italiani, a prescindere dall’ambito e dal settore lavorativo nel quale esercitano la professione, e che è istituzione di rappresentanza riconosciuta presso il Ministero dello Sviluppo Economico ai sensi della già citata L. 4/2013.

In questo contesto, le Associazioni di Categoria possono mettere in campo alcuni validi strumenti di tutela, che necessitano della partecipazione attiva di soci e non soci, dell’applicazione di una deontologia ed un’etica condivise e della solidarietà professionale.

  • Il rispetto del Codice Etico:  

I professionisti che lavorano a tariffe inique danneggiano gli altri archeologi e sono sanzionabili dai collegi a ciò preposti (nell’Associazione Nazionale Archeologi opera il Collegio dei Probiviri, quale organo di tutela e garanzia per tutti i soci).

I titolari e soci di imprese che pagano tariffe inique, che ribassano oltre la soglia consentita, che lucrano sulla pelle del lavoratore, sono sanzionabili dai medesimi collegi a ciò preposti.

  • Segnalazioni circostanziate e azioni nelle sedi opportune:

Dietro probante segnalazione, l’ANA interviene effettuando le azioni congrue del caso, anche chiedendo e ottenendo la regolarizzazione di certe posizioni.

Ciò detto, è giusto segnalare un problema: sebbene riceviamo molte denunce informali su tariffe inique perpetrate da imprese e colleghi, le stesse però spesso non vengono ufficializzate e circostanziate, rendendo impossibile per l’ANA intervenire fattivamente.

  • Azioni concrete: 

L’ANA interviene presso tavoli tecnici ed istituzionali proponendo norme e buone pratiche affinché il lavoro professionale degli archeologi sia equamente retribuito: oltre alla già citata norma regionale sull’Equo Compenso della Regione Lazio, ricordiamo il lavoro che, anche attraverso Confprofessioni, ha portato la Legge nazionale sull’Equo Compenso in discussione in Parlamento.

L’ANA ha operato affinché si allargassero gli ambiti di intervento, tanto che l’attività dell’archeologo professionista è oggi sempre più variegata e simile a quella di altri liberi professionisti molto meglio retribuiti (architetti, ingegneri, ecc.), spaziando dalla progettazione, alla direzione tecnica, dalla direzione lavori al collaudo, passando per la ricerca, le perizie, la didattica, la fruizione e la valorizzazione a tutto campo.

Verso una coscienza professionale matura

Detto questo, quindi, è evidente come sia necessario uno sforzo collettivo: una professione più giusta e con compensi equi passa anche attraverso una coscienza della professione. Essere liberi professionisti in archeologia deve essere una scelta consapevole e matura, effettuata grazie ad una corretta informazione sulla realtà attuale del mondo del lavoro italiano in archeologia. 

Essere un archeologo libero professionista deve essere (e per molti già è) una scelta cosciente nel rispetto delle possibilità che la professione offre.

In questo senso, sia chiaro che chi accetta di lavorare a cifre inique ha solo un po’ meno responsabilità di chi le propone: chi alimenta questo sistema non può lamentarsi pubblicamente e passivamente dello stesso ma poi non agire correttamente quando ne ha l’opportunità.

Questo approccio diventa solo controproducente.

La vita professionale del libero professionista è fatta di momenti di lavoro e di momenti di non lavoro e della possibilità di organizzare i propri tempi e i propri incarichi in autonomia. Ecco perché un professionista deve imparare a farsi molto bene i conti in tasca prima di accettare un incarico e deve sapersi rapportare alle Committenze con la giusta maturità professionale.

E, soprattutto, deve imparare a ragionare in termini di fatturato annuo e non di mensilità: perché il libero professionista NON è un precario, il libero professionista NON ha “padroni”.

Iscriversi alle Associazioni di Categoria serve anche a questo: a costruirsi una struttura professionale per affrontare il mondo del lavoro da lavoratori autonomi e consapevoli, con strumenti e informazioni adeguate alla realtà professionale che si va ad affrontare.

In questo senso riteniamo che TUTTI GLI ARCHEOLOGI ITALIANI debbano essere parte attiva della loro stessa tutela:

  • informandosi correttamente, anche grazie alle Associazioni di Categoria normativamente riconosciute, sulla realtà del mondo del lavoro archeologico in Italia;
  • essendo maggiormente coscienti di cosa significa essere un libero professionista e quanto costa il lavoro in archeologia, nel suo totale (comprensivo di ogni mansione tra quelle indicate nel DM 244/2019 e delle spese vive che un professionista deve affrontare);
  • avendo il coraggio di rifiutare ciò che danneggia sia il singolo che l’intera categoria;
  • avendo la forza di denunciare alle giuste Associazioni di Categoria chi nuoce gli altri archeologi (ricordiamo a tal proposito anche l’utile Osservatorio Bandi e Tariffe ANA: https://www.archeologi.org/professione/osservatorio-bandi).

L’ANA resta attiva e in ascolto, pronta ad intervenire laddove sussistano criticità, invitando gli archeologi italiani a contattarla e partecipare: perché gli archeologi liberi professionisti sono il cuore pulsante di questa professione, ma solo se ognuno se ne prenderà cura nella maniera più sana esso potrà continuare a pulsare sempre più forte.