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Prosegue la Rubrica dell’archeologa Milena Costagliola “Narrazioni del passato con il Museo archeologico di Anzio.

Il Museo ha sede nella seicentesca Villa Adele, già Cesi, Pamphilj, Borghese, ai quali passò nel 1834 e fu ribattezzata col nome attuale in onore della sposa di Francesco Borghese, Adele de la Rochefoucauld.

Alla famiglia rimase fino all’inizio del ‘900; dopo varie traversie, passò, con l’annesso parco, in proprietà comunale nel 1964.

Il Museo Civico Archeologico di Anzio, inaugurato nel 2002, è articolato in nove sale.

Nel percorso espositivo sono illustrati i momenti più rappresentativi dello sviluppo e della vita dell’antica Antium attraverso tre livelli conoscitivi integrabili tra loro secondo gli interessi dei visitatori: i materiali, le note informative, le fonti letterarie, storiche e documentarie.

Viene così focalizzata l’attenzione, con continui richiami al contesto storico, sui principali monumenti e la topografia della città, la vita quotidiana, il porto, la villa imperiale e le altre residenze della costa anziate, la riscoperta delle antichità di Anzio.

All’ingresso è un mosaico pavimentale in tessere bianche e nere (II/III d.C.), al centro del quale è raffigurato un “Erote alato a cavallo di una pantera”; intorno sono due tigri, un leone e due aquile (simboli del potere imperiale). Il mosaico era posto probabilmente in un ambiente di rappresentanza.

La “Fanciulla di Anzio” è una statua misteriosa perché, oltre all’incertezza del luogo preciso del suo ritrovamento (che avrebbe aiutato a contestualizzarla), la sua rappresentazione è dubbia.

Si deduce che la giovane, vestita con un chitone e un himation, fosse un’addetta a un tempio o un’offerente: infatti ha un vassoio in una mano con oggetti scolpiti, ai quali rivolge lo sguardo: un rotolo di una benda di lana, un ramoscello d’alloro con frutti e due piccole zampe di leone (piedini di un recipiente).

Nell’altra mano reggeva una corona d’alloro, ma anche se ritrovata, questa non si è potuta inserire in fase di restauro.

Per il ramoscello d’alloro si è pensato che fosse forse una Pizia, la sacerdotessa dell’Oracolo di Delfi.

La provenienza della statua è greca: è composta da due marmi differenti greci, il Paro (la testa e petto) e il Pentelico (il resto del corpo).

Forse è la replica di età tiberio-neroniana di un originale greco di età ellenistica (III a.C.), realizzato da una scuola microasiatica.

Dopo essere stata conservata a “Villa Sarsina” fino al 1908 (essendo stata ritrovata in terreni del principe Ludovico Chigi Aldobrandini), la statua è stata acquistata dallo Stato per 450 mila lire, e dal 1998 è conservata al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo a Roma.

All’interno del Museo Archeologico di Anzio tra i vari reperti sono presenti ceramiche sia a figure rosse sia a figure nere di provenienza attica; elementi in metallurgia; anfore e vari ritrovamenti subacquei in marmo; diversi busti acefali; alcune teste, tra cui quella dell’imperatore Nerone; la statua del cosiddetto “Gladiatore Borghese” (l’originale è conservata al “Musée du Louvre” a Parigi).

Inoltre, è stato ritrovato nel 1930, nell’area di Villa Sarsina (Anzio), un mosaico policromo di epoca neroniana, in tessere di marmo e pasta vitrea, con aggiunta di stucco rosso e concrezioni calcaree: il cosiddetto “Ercole ebbro di Palazzo Massimo”.

Il mosaico è così chiamato perché appartiene al Museo Archeologico di Palazzo Massimo a Roma, ed è in prestito al Museo Civico Archeologico di Anzio.

Il mosaico raffigura al centro Ercole semisdraiato con clava e coppa per bere.

Lateralmente sono raffigurati un giovane uomo nudo (a sinistra) e un suino con una benda intorno al corpo, forse pronto per essere sacrificato (a d 7).

Potrebbe trattarsi di un sacello, di un ninfeo o di una fontana monumentale (ma non sono stati trovati sistemi idraulici che ne giustifichino questo uso), che fu obliterato da un muro durante il II d.C..

Altro ambiente importante della Villa Imperiale di Anzio è la Biblioteca, descritta con scaffali in legno decorati da borchie in oro.

Il pavimento è un mosaico bicromo, a tessere bianche e nere, raffigurante una belva.

È presente una statua di “Artemide acefala” ritrovata postuma in una nicchia speculare, ma si pensa che questa provenga, come la “fanciulla di Anzio” dagli ambienti della Biblioteca.

Si evince in questo ambiente l’utilizzo di marmi pregiati, che illustrano la ricchezza delle grandi dimore di età imperiale: i marmi sono impiegati non solo nella statuaria, ma anche nella creazione di suppellettili e nella decorazione parietale e pavimentale.

È, inoltre, un ciclo di intonaci figurati del tipo a giardino con balaustra a graticcio e balconcini con vista su una lussureggiante vegetazione animata da diverse specie di uccelli (seconda metà del II d.C.).

Quasi annualmente vengono organizzate presso il Museo mostre dedicate al patrimonio archeologico anziate “disperso” nei principali musei italiani ed europei, al fine di integrare la conoscenza delle antichità anziati.